San Savino
San Savino – storia
L’area su cui insiste l’attuale nucleo abitato, insieme al territorio che si affaccia sulle sponde del lago, risulta infatti popolata fin da epoca protostorica, con frequentazioni, documentate da scavi archeologici, risalenti alla media età del Bronzo, con successive fasi di occupazione sino all’età del Bronzo finale (secoli XVII-XI/X a.C.). Si tratta dunque, senza dubbio, di uno degli insediamenti più antichi dell’intero territorio magionese, la cui rilevanza è confermata dall’attestazione di un tempio di epoca etrusca, o etrusco-romana, a valle, nella zona di imbocco delle gallerie degli emissari.
La toponomastica prediale suggerisce che l’antico nome del nucleo abitato fosse Cignano, e che esso si presentasse articolato in una tipologia insediativa diffusa, ma incardinata intorno ad una villa rustica o residenziale appartenente, appunto, a Cinna (o Cenio o Acennio), con ogni probabilità situata sulla stessa collina su cui oggi si erge il castello.
In età altomedievale la persistenza di un pagus (circoscrizione amministrativa cui fanno capo più vici, cioè villaggi) ben concorda con la precocissima erezione della pieve dedicata a San Savino, con ogni probabilità ascrivibile all’inizio del secolo VII d.C., e stabilmente attestata a partire dal 1029-1031.
Situata ai piedi del colle, nell’area degli emissari, in evidente continuità con l’antico santuario pagano, la fondazione plebana beneficiò della natura stessa del territorio, dove l’insediamento di sommità e di mezza costa garantiva agli abitanti non solo una più agevole difesa e la possibilità di sfuggire alla malaria, ma in pari tempo permetteva una combinazione della cerealicoltura con la viticoltura e l’olivicoltura, oltre ad una sussidiaria attività piscatoria e silvo-pastorale.
Scongiurati, dunque, i rischi di spopolamento in corrispondenza della grande crisi dei secoli III-V d.C., il nucleo abitato di Cignano vide accrescere la propria rilevanza a seguito della progressiva militarizzazione dell’area, che segnò, dopo il 595, la stabilizzazione della frontiera longobardo-bizantina: l’insediamento collinare fu dunque convertito in modesto fortilizio, dotato di palizzate, terrapieni e mura a secco, capace comunque di rappresentare un presidio strategicamente essenziale sulla strada verso il Chiugi.
Inserito in un tracciato viario di grande interesse economico e militare, che da Perugia, uscendo da Porta Santa Susanna, conduceva alla vicina Toscana, la pieve di San Savino acquisì crescenti prerogative in ambito socio-religioso, nonché economico e finanche civile, tanto da trasferire il nome del proprio Santo titolare al nucleo abitato fortificato, che proprio intorno al Mille, a seguito del momentaneo allentarsi delle necessità difensive, vedeva drasticamente diminuita la propria capacità aggregante, a favore del ritorno ad un insediamento capillare.
La nascita di un embrionale potere signorile proprio in seno alla struttura plebana, o all’ombra della stessa, alimentato dalle continue tensioni militari che contrapposero Perugia a Castiglione del Lago sullo scorcio del secolo XII, favorì l’edificazione, proprio sulle rovine del fortilizio di Cignano, di un primo nucleo del castrum (castello) di San Savino, capace di catalizzare una popolazione che, nonostante l’esiguità del numero e l’indigenza dei mezzi economici, si era organizzata in Comune, con un proprio Sindaco ed embrionali istituzioni locali.
Nel corso del Duecento il castello dovette tuttavia cadere rapidamente in rovina, se il 31 dicembre 1310 il Consiglio del Comune di Perugia era costretto a constatarlo vacuum et inhabitatum: proprio in virtù della sua rilevanza strategico-militare all’interno della cinta difensiva orientale del Trasimeno, a fronte del crescente pericolo rappresentato dalle scorrerie di eserciti e compagnie di ventura, la Municipalità perugina dispose la riedificazione complessiva del castello, attuando inoltre un’accorta politica di agevolazioni ed esenzioni fiscali, allo scopo di attirare manodopera dalle comunità circonvicine.
Sorto in corrispondenza del preesistente castrum, il «nuovo» castello di San Savino seppe coniugare e sintetizzare elementi ed esigenze attinenti alla difesa del sito, alla colonizzazione dell’ambiente circostante, all’uso dell’importante direttrice stradale di cui era perno, alla prassi architettonica dell’insediamento murato due-trecentesco.
La pianta urbana a fuso, con sviluppo lineare, che contraddistingue gli abitati rurali sorti in epoca altomedievale in corrispondenza di pievi o luoghi obbligati di transito, presenta una morfologia estremamente elementare, tutt’oggi chiaramente apprezzabile: impostata su una trama edilizia assai compatta ed omogenea, priva di elementi di differenziazione urbanistica, la cinta muraria si apre in un’unica porta ad arco ogivale, rivolta a ponente, che immette su una piazza quadrangolare occupata da un pozzo-cisterna e dominata dall’imponente profilo del mastio a pianta triangolare, sola emergenza architettonica tra le basse costruzioni disposte in serie parallele e allineate rispetto all’unica breve strada di penetrazione interna.
L’edificazione del castello e l’accresciuta rilevanza insediativa contribuirono ad innescare un consistente incremento demografico, per cui si passò dai 70 abitanti censiti nel 1282 ai circa 350 registrati sul finire del secolo XV: parallelamente, l’emissario braccesco, entrato in funzione nel febbraio 1422, ripristinando almeno in parte una corretta regimentazione delle acque del lago, garantì la continuità della pratica piscatoria, così importante, per tutta l’età moderna, anche a San Savino, dove la Reverenda Camera Apostolica prescriveva severamente il mantenimento degli approdi e conservava proprietà immobiliari a disposizione degli appaltatori del pesce.
Anche sul versante socio-religioso, la comunità locale dimostrava notevole vivacità, in particolare nelle pratiche liturgiche e devozionali del laicato parrocchiale, animate da compagnie, priorate e confraternite. La chiesa-oratorio della confraternita di Santa Maria Maddalena, addossata alle mura esterne del castello, finì così per entrare in diretta concorrenza, lungo l’intero arco del secolo XVI, con le prerogative della vecchia pieve, erodendone progressivamente funzioni e competenze: lontana dal nucleo abitato cui aveva dato il nome, malagevole e inadeguata, disertata dagli stessi parrocchiani che preferivano ascoltar messa, anche nei giorni di precetto, presso la chiesa confraternale, privata infine del proprio fonte battesimale all’inizio del Seicento, la pieve di San Savino resterà in piedi, trascurata e semidiruta, almeno fino alla metà del secolo XVIII.
L’8 maggio 1747, dunque, il vescovo perugino Francesco Riccardo Ferniani provvide a trasferire, anche canonicamente, il titolo parrocchiale di San Savino alla «nuova» chiesa presso il castello: in questo modo, simbolicamente, si perfezionava la fitta trama di reciproche corrispondenze, che hanno finito per legare, nel corso dei secoli, un paese, la sua chiesa, il suo nome.
Alla fine dell’Ottocento, la costruzione del nuovo canale emissario intrapresa dal Consorzio di bonifica, presieduto dal deputato Guido Pompilj, promosse il piccolo borgo a custode dei due manufatti di ingegneria idraulica storicamente più significativi per la storia del lago Trasimeno, che insieme all’Oasi La Valle (la cui valenza naturalistica e scientifica a livello nazionale ed internazionale ne fa oggi una delle strutture cardine del Parco) rappresentano un sistema integrato per la conoscenza, valorizzazione e fruizione del territorio e della sua storia, la cui “antenna” è costituita appunto dal castello fortificato e dalla sua maestosa torre triangolare.
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